“Nonostante tutto nella prima fase sono stato abbastanza positivo, cercavo di affrontare le cose nel modo migliore prendendo un po’ di tempo per me. I primi giorni sono stati pieni di pensieri, ma quando ho capito che tutto sarebbe andato per le lunghe ho deciso ‘egoisticamente’ di dedicarmi a me, cucinando, passando tempo con la famiglia, facendo vari lavoretti in casa, dedicandomi al giardinaggio, piccole cose apparentemente semplici ma che troppo spesso capita di trascurare. Questa seconda fase però è molto più dura”. Parole e riflessioni di Rudy Travagli, restaurant manager e sommelier di Enoteca La Torre, una realtà che comprende anche un ristorante stellato (a Roma) e una attività di catering tra le più apprezzate del panorama italiano.
Pensieri raccolti già dopo la fine del primo periodo di un lockdown che aveva colpito anche una azienda dai grandi numeri sotto ogni punto di vista, portando ad una inevitabile frenata: “Dal punto di vista professionale è stata una tragedia, ci hanno tolto il lavoro da un giorno all’altro, ci hanno tolto un sogno all’improvviso, chi fa il mio lavoro ha ambizioni, traguardi. I sacrifici fatti in questi anni, per chi come me ha 40 anni e si trova nella fase cruciale della carriera, è davvero dura”.
Mesi trascorsi tra passioni personali e l’opportunità (e necessità) di sfruttare il momento per studiare: “Ho lasciato sempre un po’ di tempo al lavoro, tra sviluppo di idee, progetti per la riapertura, la ristrutturazione delle varie carte dei vini. Ho anche studiato un po’, fatto sport, qualche aperitivo in terrazza. Una quarantena che sinceramente posso definire piacevole, nulla di paragonabile a ciò che hanno vissuto i nostri nonni, abbiamo avuto a disposizione internet, tv, frigo pieno, supermercati aperti. Poi in estate abbiamo lavorato abbastanza bene ma poi, devo ripetermi, è giunta questa seconda fase piena di incertezze”. Ma al netto di riposo e riflessioni, il pensiero e le preoccupazioni sono naturalmente rivolte ad Enoteca La Torre e ad una realtà da alcuni anni in forte crescita: “Non credo sarà possibile recuperare ciò che abbiamo perso dal punto di vista economico. Nel 2019 avevamo fatturato 8 milioni di euro, nel 2020 puntavamo ai 10 milioni ma molto probabilmente chiuderemo a 3, forse 3,5, ed è evidentemente drammatico. L’azienda ha comunque saputo reagire cercando di differenziare la propria offerta, ad esempio con il lancio della “Eat me box” che ha spopolato anche tra i vip e che ha permesso di aprire uno shop, a testimonianza che una azienda che si basa sul gourmet ha saputo ragionare adeguandosi al momento e ai cambiamenti”.
Il discorso prosegue spostandosi sugli eventi e la difficoltà di prevedere una ripresa per questo tipo di attività: “La parte catering, che rappresenta il nostro core business, è stata completamente azzerata. Dobbiamo capire se ci saranno, e quando torneranno, gli eventi su cui puntavamo prima, da 1.000 invitati. Magari mi sbaglio ma credo dovremo puntare inizialmente su piccoli eventi e quindi in generale non sarà possibile arrivare al livello di fatturato a cui eravamo abituati”.
Ma come e a cosa si è adeguato in questo periodo la “nuova” ristorazione e conseguentemente il servizio di Sala? “In questo periodo abbiamo messo in campo varie alternative, c’è stata la riduzione dei tavoli, puntiamo solo su prenotazioni online”. Tanti cambiamenti forzati ma inevitabili guardando, anche a causa della mancanza di certezze per l’assurdo susseguirsi di decreti, in più direzioni: “Cerchiamo di preservare i dettagli che caratterizzano il nostro servizio di Sala e che lo hanno fatto apprezzare a clienti ed addetti ai lavori. Con meno clienti, e conseguentemente meno personale, stiamo trovando una nuova forma”.
Un periodo già estremamente difficile per la ristorazione è divenuto drammatico a causa delle tante, troppe incertezze create da decreti giunti a poche ore dalle ipotetiche riaperture, con una alternanza di regole e colori che troppo spesso ha penalizzato questo settore: “Non vorrei essere nei loro panni (di politici ed istituzioni, ndr) perché il momento è davvero difficile, ma se c’è una cosa che contesto è la confusione. Troppi messaggi che si contraddicono, che non aiutano a capire. Capisco sia difficile, ma quando prendono una decisione devono perseguirla, altrimenti si crea il panico, e ciò lo riscontro nei miei colleghi. Ciò che traspare è la scarsa conoscenza delle dinamiche del nostro ambiente: se si decide che si è zona rossa fino al 6 gennaio, ma il 5 sera viene comunicato che si può aprire solo il 7 e 8, con in mezzo il 6 che un giorno festivo, si creano difficoltà nel dialogo con i fornitori, o magari sorgono altri problemi se ci si è già organizzati per lavorare nel weekend e te lo vietano. C’è una confusione enorme che comporta difficoltà nel programmare il lavoro tra ordini da fare e disfare continuamente, è difficile conservare le materie prime fresche. Ogni volta pensiamo a nuove idee e poi magari il giorno dopo un nuovo comunicato del Governo cambia le carte in tavola. Questo non ci aiuta perché ogni volta che immaginiamo un qualcosa di innovativo mettiamo in moto una macchina che comprende il personale, il marketing, la logistica, la comunicazione. Ogni variazione ci fa ripartire da zero”.
E le difficoltà nascono anche nella gestione delle risorse: “Si crea nervosismo nel team, sono costretto a dire ai ragazzi ‘domani devi venire, dopodomani no, poi devi tornare’. C’è sempre massima disponibilità nei cambi turno ma comunque c’è malcontento per i continui cambiamenti. Ci costringono a vivere alla giornata, ma nel nostro lavoro ciò non è possibile. Oltre a non guadagnare perdiamo anche soldi che vengono spesi inutilmente per le presunte ripartenze. La prima pausa è stata affrontata dalle aziende forti con la solidità economica derivante da anni di buon lavoro, per questa nuova pausa non abbiamo più le spalle coperte”.
Non potevamo perdere l’occasione di chiedere ad un riferimento della Sala italiana una opinione sugli eventuali cambiamenti che anche il servizio nelle pizzerie dovrà avere: “Le pizzerie hanno un servizio che spesso punta su velocità e praticità, forse meno tecnico di quello dell’alta ristorazione ma sicuramente più passionale ed appassionante, e quindi per loro diviene cruciale la capacità di saper accogliere i clienti”. E cosa accadrà alle cosiddette esperienze Fine Dining? “Il servizio di Sala per l’alta ristorazione non sarà più quello che ricordavamo prima dell’emergenza. Si deve puntare tantissimo sull’accoglienza, perché quando togli tanti piccoli dettagli non più attuabili, il cliente deve essere, ancor più di prima, al centro dell’esperienza, anche perché sono ancora meno ed il loro peso specifico è aumentato. Resta fondamentale la formazione, perché è in corso una scrematura sia di locali che di persone. Noi in primis, la generazione di 40enni, possiamo divenire il riferimento per la ripartenza, perché abbiamo il giusto mix di esperienza, passione e competenza. La Sala è l’immagine del locale che il cliente vede, noi dobbiamo essere quelli in cui il cliente riporrà fiducia perché siamo competenti e rispettosi delle regole”.
l.s.