“Vedo tanta confusione in questo periodo, idee poco chiare, e non è un buon segnale a mio avviso, perché ho capito che per tanti, troppi, il cliente è visto come un limone da spremere. Soffre chi lavora bene, con onestà. Io ho voluto abbracciare una filosofia ben precisa, sposando la scelta di utilizzare malto italiano e non più tedesco: conseguentemente ho un costo di produzione maggiorato e le birre devono quindi uscire con un prezzo un po’ più alto che fa storcere il naso ad alcune persone ma io continuo dritto per la mia strada, perché sono convinto che si possa educare alla qualità”. Vincenzo è schietto come le sue parole: è partito da Paestum per andare al nord, ma ha quasi subito deciso di tornare, attratto dallo stile di vita che ne ha caratterizzato infanzia e adolescenza. Una vissuta in campagna ad un ritmo naturale e con il sapore dell’autenticità, elementi che ora rende unica anche la sua birra, quella del Birrificio dell’Aspide.
Dagli esperimenti casalinghi alla prima produzione
“Ho iniziato a fare birra in casa nel 1999, a 25 anni. Sono passato da un impianto da 30 litri ad uno da 300 litri (nel 2003), costruito da un’azienda che lavorava l’acciaio seguendo un mio disegno. Continuavo a far tutto questo sempre per uso personale o per bere in compagnia, non pensavo ad un altro utilizzo”. Inizia così il racconto di un uomo che ha scelto la propria dimensione, che ha voluto vivere seguendo la sua personale felicità e non le altrui aspettative. “Vivo in campagna dove c’è l’abitudine di fare vino ma non potendo curare la vite e volendo bere qualcosa durante i pasti optai per la birra. L’impianto casalingo era a norma ma non autorizzato, e quindi la mia restava una passione casalinga. Nel 2009 notai però una forte scossa nel mondo della birra artigianale, e pensai di osare. Mi sono detto “ho praticamente un birrificio, perché non faccio conoscere agli altri la mia filosofia?“. Lavoravo come dipendente e in parallelo producevo birra, fino a quando non decisi di dedicarmi solo alla birra, iniziando questa avventura”.
Una produzione che conserva però determinate caratteristiche: “Sono rimasto un homebrewer arrivando a 500 ettolitri all’anno; quest’anno causa pandemia mi sono ritrovato in difficoltà e quindi ho ripreso a lavorare da solo ma con un impianto grande che quindi non riesco a gestire a pieno regime, ma se riuscissi a trovare una persona che possa aiutarmi tornerei a lavorare a pieno regime perché c’è richiesta”.
Il Cilento in una birra
“Ho sempre vissuto in campagna, mio nonno quando andò in pensione (era macellaio) creò una piccola azienda agricola. Ho quindi trascorso qui la mia infanzia e adolescenza crescendo con il pensiero rivolto al cibo sano e con la possibilità di poter conoscere al meglio tutti i prodotti del territorio. Lavoro con il fico bianco del Cilento, utilizzo lieviti ottenuti dalle bucce delle mele cotogne del mio campo, che profumano e caratterizzano le mie birre. La Sirenuse è fatta con bucce di limone di Amalfi igp, mi piace sostituire gli ingredienti classici con quelli del terroir che mi circonda” racconta in maniera appassionata Vincenzo, un uomo che ama vivere la birra in prima persona, utilizzando quale filo conduttore dei rapporti umani con appassionati e professionisti “Mi piace confrontarmi con gli appassionati di birra, partecipare alle manifestazioni, essere in prima persona dietro le spine per capire cosa piace a chi ama la birra. Così ho potuto scoprire che le persone apprezzano equilibrio, gusto e morbidezza, in particolare gli appassionati, mentre gli esperti apprezzano in particolare la complessità di ciò che produco”.
La sala di cottura a fuoco vivo
“Devo fare una premessa fondamentale: non ho inventato nulla, ho solo cercato di ottimizzare processi esistenti in base alle mie esigenze. Parliamo quindi di una pentola da 700 litri che ho fatto adattare al mio modo lavorare. Le moderne sale di cottura per la produzione della birra hanno 2-3 tini scaldati a vapore, io invece utilizzo solo un tino coibentato, isolato, dove faccio l’ammostamento, non seguendo i vari step classici. Nella prima parte della produzione della birra seguo quasi l’approccio anglosassone anche se la maggior parte delle mie birre è in stile belga”.
Tornare quindi a ricorrere l’aspetto personale della produzione, la voglia di perseguire una filosofia che consenta di ottenere birre fortemente identitarie. “La cottura a fuoco vivo è molto più lenta rispetto al vapore e dà tempo alle proteine di coagularsi, evitando di far aumentare il carico termico sul mosto, è risultando quindi più delicata. Ho imparato questo metodo osservando mia nonna: da piccolo con lei preparo il formaggio e la ricotta. Mi diceva “se vuoi far affiorare la ricotta con fiocchi belli, grandi, soffici, devi lavorare con il fuoco dolce, con lentezza, devi aver pazienza“. Ho fatto tesoro di quell’esperienza, quel ricordo”.
Le birre del Birrificio dell’Aspide
“La mia Belle Saison è molto riconoscibile: di solito è una birra chiara, limpida, pulita, dal colore giallo paglierino che sembra “innocua” ma che una volta giunta al naso permette di scoprire un bouquet di aromi davvero incredibile, lì c’è tutta la mia filosofia e tutto il territorio a cui appartengo. Al gusto però non è spiazzante, si ritrova l’equilibrio che voglio. Gioco molto sui contrasti, anche sulla Gairloch che è una birra molto morbida, profumata, bilanciata e con un bel caramello. Guardandola si potrebbe immaginare un assaggio sconvolgente ed invece è molto piacevole, idonea per essere abbinata a tanti piatti come la pizza, la lasagna e l’agnello. Un elemento riconoscibile del mio lavoro è la “rusticità”, carico di intensità la parte aromatica, il momento olfattivo è fondamentale nell’analisi e nell’assaggio di una birra”. Parola di Vincenzo Serra, autentico fino alla fine.
l.s.