Ebbene sì, esiste una enciclopedia dedicata alla pizza. 1.708 pagine, 1.000 ricette, 800 assaggi, 500 esperimenti. 250 locali visitati in 160 mila chilometri percorsi dall’Italia a Tokyo. Questa è l’impresa di uno scienziato americano che in tre volumoni analizza la pizza.
Stiamo parlando di Modernist Pizza. Tre volumi da enciclopedia dedicata alla pizza. Questa impresa è stata condotta da Francisco Migoya e soprattutto da Nathan Myhrvold. Chef, fotografo, scienziato, possiede un Master in Fisica spaziale. Che come se non bastasse tra i suoi campi di studio annovera la paleontologia e il bioterrorismo.
La passione di Nathan per la pizza nasce a Santa Monica, in California. C’era una sede di Shakey’s Pizza Parlor: una pizzeria con la cucina a vista. Da bambino restava lì, ipnotizzato, a guardare come lavoravano i pizzaioli.
In Modernist Pizza si parte dalla storia. E l’evoluzione della pizza è la storia della conquista dell’egemonia italiana nello street food mondiale. Il via, ovviamente, nelle cucine di Napoli.
La pizza arriva a New York, Boston, Detroit, fino alla California. Va in Sud America e poi nei Paesi dell’Europa settentrionale. È qui che il canone partenopeo viene modificato. E viene diluito, diventa una superfice su cui si innestano le tradizioni culinarie di ogni regione del mondo.
Myhrvold riconosce che tra i pizzaioli la tensione tra tradizione e innovazione è costante. Ma c’è da sottolineare una cosa: l’enorme preparazione tecnica che anno dopo anno accompagna le evoluzioni della pizza.
E alla tecnica, appunto, è dedicato il secondo volume dell’enciclopedia. Ci si sofferma soprattutto sugli aspetti formali che consentono di classificare le varie tipologie di pizza. Prima di ogni cosa, la composizione della mollica. Ovvero ciò che ne determina l’altezza. E poi il rapporto tra i condimenti, i tipi di cornicione, le farine. Capitolo essenziale è quello dedicato ai “parenti stretti della pizza”. Con rigore fenomenologico la pinsa romana viene, per esempio, espulsa dalla famiglia, sia nella sua versione rossa che in quella bianca. Il motivo? Trattasi di focaccia, e si è detto tutto.
Poi si passa al lessico della pizza e paese che vai calzone, ripieno, pizza fritta che trovi. Fondamentali gli strumenti. Se quello a legna è il tempio, la secolarizzazione ci ha portato ogni tipo di forno elettrico. Ancora: lievitazioni, tipi di impasti, tempi, preparazioni con glutine e senza, condimenti. Mozzarella e derivati: dove, come e quando. E poi vademecum per ogni tipo di salsa, da quella canonica all’emulsione a bassa temperatura fino all’eresia sfrontata delle salse alla frutta. Ogni passaggio accuratamente descritto e debitamente fotografato.
Infine il terzo volume, dedicato alle ricette. Ma qui si entra nella libertà d’opinione. Ma che consente anche di far notare, con sobrietà, che la pizza bassa brasiliana con gamberi e cuori di palma. o che la napoletana con mascarpone e mozzarella al carbone. o che la pizza pixelata con paccheri al pesto di pistacchi, saranno certamente scenografiche ma difficilmente supererebbero il principio di verificazione di Forcella.
Un enciclopedia che ti lascia la voglia di provare la vera pizza napoletana, ora a rigore scientifico.